Incontro con Serena Dandini


«Questa cosa sta crescendo vertiginosamente. Non l’avrei mai immaginato!». Serena Dandini è orgogliosa del progetto Ferite a morte, ed è felice della direzione che sta prendendo. In un momento in cui se ne parla fino all’anestesia, lei ha trovato un modo nuovo e virale per affrontare il problema planetario del femminicidio. Con un libro (ormai bestseller), e uno spettacolo teatrale di monologhi che danno voce post mortem alle vittime. Vittime che raccontano i fatti senza rabbia, disarmanti e disarmate come quando è stata tolta loro la vita. A volte si piange, a volte si ride amaramente. E intanto il messaggio arriva, fa breccia nel muro delle tradizioni sbagliate, quelle che a un certo tipo di uomo impongono l’onore malato e insegnano diritti travisati, dal possesso della propria donna all’incapacità di accettare un rifiuto. «Racconto storie inventate, ma piene di riferimenti a quelle vere», spiega Serena Dandini, così impegnata che per parlare con lei ci vorrebbe quasi il ticket col numero, per fare la coda. Però, quando arriva il tuo turno non si risparmia. «Avevo scritto questi monologhi per colpire l’opinione pubblica e far arrivare, attraverso la drammaturgia, un discorso serio anche negli spazi dove ci si diverte. Maura Misiti, la mia coautrice, si è dedicata invece alla seconda parte, quella con i numeri del fenomeno nel mondo. Poi ho coinvolto attrici, giornaliste, amiche, e si è creata subito una reazione a catena inarrestabile. Dal momento del debutto è stato un evento via l’altro. Il 24 giugno 2013 lo spettacolo è arrivato al Parlamento europeo, e il 25 novembre, in occasione della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, verranno letti degli estratti in inglese sul palco delle Nazioni Unite. (continua a leggere)