
Spandau Ballet Amarcord
Ogni mamma detiene un repertorio di tormentoni che un’anima giovane e scaltra può travisare a piacimento. «Non dare confidenza agli sconosciuti»: non include chi è tanto noto da stare sulle copertine. «Voglio sempre sapere dove sei»: non esclude lasciarglielo apprendere dai giornali. «Come vorrei che mia figlia andasse a Sanremo»: non vuol dire che sia per cantare. Gli improperi della mia si udivano fino alla stazione quando a Sanremo ci sono andata, ma per amore di Steve Norman e degli Spandau Ballet . Oggi, dopo cinque lustri, lo scenario è quasi lo stesso: i vetri appannati per la respirazione accelerata (sembriamo dei mufloni), siamo nuovamente in macchina col motore acceso ad aspettare gli Spandau Ballet all’uscita di un concerto, esattamente come due taglie di pantaloni e tre trattamenti di fine rapporto fa. Renata ricorda che maledicevamo il Palaeur per l’acustica scampanata. Rosanna rievoca l’anno in cui il cordino del pass di Sanremo era color caffellatte, in merceria si trovava solo bianco e ne abbiamo inzuppati quattro nella colazione per legarli alle finte copie plastificate (se non ci fosse andata bene con lavori onesti, avremmo avuto una carriera falsificando permessi di soggiorno). A me viene in mente la bicchierata di whisky che mi sono beccata quando ho imparato che non è bene tradurre barzellette zozze sulle mogli fedifraghe a un montatore di palchi inglese che, per stare lì, ha rimandato la luna di miele. (continua a leggere)
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