Il raptus è una balla


Premessa: visto che molti maschilisti giurano che le donne sono altrettanto violente degli uomini, ma che il dato non emerge statisticamente solo perché si vergognano di andare al pronto soccorso e confessare di averle beccate da una donna (Signore dammi la pazienza…), provate a pensare che la povera tassista, costretta a un rapporto orale da un imbecille in preda al “raptus” non ha fatto quello che le mamme dovrebbero insegnarci si da piccole: un bel morso netto, magari una masticata per renderla irrecuperabile, e via la salsiccia. Che la tassista non l’abbia fatto è la prova di quanto non solo l’inclinazione femminile alla violenza, ma persino quella alla difesa, sia nelle donne terribilmente inferiore rispetto agli uomini. Non ricordo mia madre che abbia mai detto, parlando di stupro: «Un calcio sugli zebedei, due dita negli occhi, una testata al setto nasale e forse te la cavi». Mi diceva invece: «Evita di uscire la sera da sola». Ricordo poi la proff di Educazione Artistica alle medie che pregava noi femminucce (solo noi) di stare attente quando facevamo ginnastica con i maschietti, che i piedini non ci finissero fra i loro testicoli causandone la morte (così diceva). Risultato: cresciamo restie a far del male persino al nostro aggressore. Oltre ad aver paura che, se il calcio lo assestiamo male, si inbufaliscano ancora di più. Per favore, non costringeteci ad avallare la scrittrice Laurell K Hamilton, che durante un’intervista in cui criticavo il suo entusiasmo nei confronti del possesso d’armi mi ha risposto: «Cara, l’unica cosa che pone sullo stesso livello un uomo di 100 chili e una donna di 45 è una bella pistola».

Detto ciò, non c’è da stupirsi se ormai il raptus è diventato la scusa dei molluschi per giustificare ogni misfatto dell’uomo sulla donna o sui minori. Sui più deboli, insomma. Anche se la psichiatria italiana ne ha smentito da tempo l’esistenza (a tal proposito, il Corriere pubblicò un’esauriente intervista a Claudio Mencacci, direttore del Dipartimento di Neuroscienze del Fatebenefratelli di Milano), il raptus ormai viene tirato fuori dal colpevole stesso per attenuare la gravità di ciò che ha fatto. Sembra la scena di She Devil in cui Ed Gebley Jr cerca di affibbiare a Meryl Streep la bufala del virus che si è fregato tutti i soldi dal suo conto. Ma se il raptus spunta sulla bocca del colpevole è perché un certo tipo di media superficiali glielo suggerisce. È la nuova declinazione del «Sono fatto così, anche lo scorpione punge perché ha l’aculeo». Sono uomini vittime di un lavaggio del cervello troppo diffuso, che inizia da bambini quando gli vengono messi in mano fucili di plastica e gli viene inculcata una falsa visione dell’onore e della potenza. Mi viene in mente un padre di famiglia, quando andavo ancora a scuola, che al figlio maschio di 8 anni continuava a ripetere «Da grande te ne devi fare più che puoi!», e alla figlia adolescente «Se ti becco con un ragazzo ti strappo le braccia e ti ci meno!».

Pensate quanto conflitto genera nella testa dell’adolescente maschio il doppio standard. E quanto odio represso, in seguito, verso colei che dovrebbe dartela per ordine di papà, prima, e degli amici, poi, ma che invece te la nega perché presta fede a codici e regole inventati dagli uomini stessi e tramandati dalle mamme. Il risultato è che un certo tipo di uomo finisce per credere che la vita sia una raccolta punti, o una serie di tacche, dove le occasioni vanno afferrate al volo anche se l’occasione significa prendere possesso di una donna indifesa, perché non farlo sarebbe da sciocchi e già senti nella testa un coro di «Scemo! Scemo», che sono i tuoi vecchi amici di liceo quando non riuscivi a fartela, quella ragazza che si era innamorata di te, perché non ti pareva corretto fingere di contraccambiarla pur di farle aprire le gambe e poi darle il benservito, perché il fine per ottenere una scopatina in più (e un punto sull’album) giustifica tutti i mezzi.

Ma dicevamo di un certo tipo di media. Se non è il colpevole a evocarlo, il raptus, ci pensano loro a sfoderarlo. Spesso in offerta “due per uno” col delitto passionale. Mantenendo così in vita come vestali il focherello dell’orrore, supportati dalla presunzione che tanto quelle brutte cose capitano solo a donne di serie B, mai alla proprie mamme, sorelle, figlie o se stessa. Ed è dura farli smettere. Perché usare degli stereotipi per una nuova campagna pubblicitaria, per il titolo di un libro, per il soggetto di un film è comodo, facile e collaudato. Se Alberto Sordi continua dal 1969 a pestare come l’uva Monica Vitti sulla spiaggia di Capocotta (in Amore mio aiutami) perché s’è fatto prendere dal “raptus”, e la scena fa ancora ridere quando va in onda nelle repliche d’estate, e suscita ammirazione e rispetto soprattutto nei portavoce del verbo “La donna non si picchia nemmeno con un fiore. A meno che…”, perché cambiare formula? E allora che raptus sia, e delitto passionale, e anche “l’omicida era ormai allo stremo della sopportazione”.

Vorrei concludere facendo presente che i set delle luci rosse pullulano di cameraman, tecnici, registi e inservienti, e se ne stanno tutti buoni buoni a fare il loro lavoro davanti a donne completamente nude che se non sono alle prese con membroni veri giocano fra loro, o da sole con sex toys. Mai nessuno dello staff che si faccia prendere dal “raptus”, nemmeno il primo giorno di lavoro. Tutt’al più, i principianti dopo si chiudono in bagno per fare un raspone. È per questo che alla baggianata che una donna scollata o con la gonna corta possa innescare “il raptus dello stupro” non ci ho mai creduto. Men che meno una completamente vestita che ti sta dando il resto per la corsa in taxi. A meno che non si tengano da parte in malafede l’opzione per sé – sia mai che possa servire anche a loro un giorno – dovrebbero essere gli uomini stessi ad arrabbiarsi. Perché, se questa patologia fosse vera vorrebbe dire che gli uomini sono geneticamente inadatti ai compiti di responsabilità e concentrazione. Sia mai che uno viene colto dal raptus verso l’infermiera durante un’operazione a cuore aperto.

Ribellatevi.

 

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