Era un angelo di badante


È una scomoda verità universalmente riconosciuta che una signora lavoratrice con genitori âgé debba avere, prima o poi, bisogno di un badante. Ed è altrettanto noto che fra i badanti disponibili (raramente italiani) sia tanto difficile trovarne di affidabili, efficienti, solerti, puntuali, vigorosi, scrupolosi e anche comprensivi e affettuosi, perché da qualcuno arido di sentimenti non ti puoi aspettare che si sprechi a comprendere le esigenze di mamma, o papà, o di entrambi.

René Rondon quelle qualità le aveva tutte. A noi famiglia Neri, qui a Bologna, lo aveva presentato uno stimato ingegnere vicino di casa che lo aveva tenuto a servizio dalla suocera, fino a quando questa era venuta a mancare. «È bravissimo, ve lo consiglio vivamente», si era sperticato raccomandandosi di lasciarglielo ancora un paio di giorni a settimana, per piccoli lavoretti. «È così dolce», aveva aggiunto un conoscente che aveva frequentato con lui il corso di italiano.

E dopo tutte queste lodi, chi non avrebbe voluto incontrarlo? Mi sono trovata davanti un bel ragazzone di Santo Domingo sulla quarantina, alto, atletico, i tratti marcati da latinoamericano, lo sguardo da indio, il sorriso aperto che mostrava denti bianchissimi. Come badante era quasi sprecato. Esibì subito un curriculum più che dignitoso e confessò, evviva la sincerità, di aver ottenuto il permesso di soggiorno sposando una settantenne italiana. «Appena possibile», ci spiegava, «divorzierò da questa donna per sposare la madre di mio figlio a Santo Domingo». Un uomo di saldi principi, e un inevitabile colpo di fulmine per tutta la famiglia. Mio padre, ottantenne e convalescente da qualche piccolo intervento fastidioso, aveva chiesto di essere assistito da un uomo, per sentirsi a suo agio, e René sembrava perfetto per la parte. Lo abbiamo assunto subito, e già dopo il primo mese ringraziavamo il destino per avercelo messo sulla strada.

René faceva proprio di tutto, non si tirava indietro davanti a nessuna richiesta. La casa era linda e pinta e all’ora di pranzo aleggiavano in cucina gli effluvi dei sughetti italiani che aveva imparato da mia madre e che alternava a speziati piatti sudamericani a base di pesce e a una sorta di tacos dominicani, di cui i miei andavano matti.

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