Emma Watson, guarda i nostri uomini femministi!
Quando Emma Watson, nel suo discorso all’Onu, ha esortato gli uomini a dare il loro contributo al raggiungimento della parità di genere è stata attaccata dalle frange estreme del femminismo, accusata di aver chiesto la carità. «Perché tanto gli uomini sono tutti uguali», si è sentito in giro. Eppure, dopo decenni di lotta, la sensazione è che, coinvolgendo solo le donne, abbiamo ottenuto una rivoluzione a metà. E se dare fiducia ai bravi ragazzi e accettare la loro mano tesa fosse invece la soluzione migliore? Mentre il numero complessivo di omicidi in Italia sta calando ogni anno, ma non quello delle donne uccise da uomini, mentre apprendiamo che, per una donna, è statisticamente meno pericoloso il famigerato vicoletto buio che le mura di casa, un piccolo esercito di uomini ha già iniziato a marciare contro luoghi comuni e istituzioni, stanchi di venire messi nel mucchio per colpa di quelli che si comportano male. Eccone quattro che combattono ostinatamente la loro battaglia quotidiana, a volte contro i mulini a vento.
Cataldo Lo Iacono, Comandante di Polizia di Montale (Pistoia), 62 anni
Quando era un giovane vigile siciliano, più o meno dell’età di Emma Watson, appena trasferito in Toscana, al comandante Cataldo Lo Iacono è successo qualcosa. «Arriva una giovane donna e mi chiede informazioni per prendere la residenza qui a Montale. Poi scoppia a piangere e mi confessa che vuole allontanarsi dal marito violento, sposato a 14 anni, che ha lasciato in Sicilia con la scusa di una visita alla sorella. Qualche settimana dopo è la sorella stessa a informarmi della sua morte. Appena tornata in Sicilia, il marito l’aveva immobilizzata sul letto e le aveva sparato alla testa». Da allora Lo Iacono ha un chiodo fisso: salvarne il più possibile. Da qualche anno, con pochi fondi a disposizione e autofinanziandosi, organizza i corsi Tutela Donna nella Villa Castello Smilea, lì a Montale. «Invito criminologi, avvocati, addette dei centri antiviolenza, psicologi, e il generale Luciano Garofano, ex comandante del RIS di Parma e presidente dell’Accademia Italiana di Scienze Forensi. La sala è sempre strapiena di donne da ogni angolo della provincia di Pistoia, alle quali insegnamo i segni premonitori, a non recarsi mai all’ultimo appuntamento». Per rendere meglio l’idea al pubblico, Lo Iacono pianta poi una pallina rossa su una cartina, una per ogni donna uccisa l’anno prima. «Ai corsi partecipano anche carabinieri e poliziotti, ma purtroppo sono spesso gli unici uomini in sala. Peccato: più che insegnare alle donne a difendersi, preferirei insegnare agli uomini a non attaccarle».
Lorenzo Turni, 25 anni, studente
La frase che più detesta è: «Fattela una risata, no?», quella che dicono i bruti alle ragazze che protestano sui social network per un post sgradito. «Le ragazze in gamba dovrebbero ridere per le battute in cui vengono insultate, sminuite, associate ai sinonimi di “prostituta”», ironizza Lorenzo Turni, 25 anni, studente di Lettere moderne, appassionato di diritti civili. In quei post si imbattono tutti i ragazzi, anche quelli che non li scriverebbero mai. Ma non si impicciano, lasciano correre. Lui no: finito di studiare, veste i panni del vendicatore e parte in missione. «Intervengo con il mio profilo o con uno falso, al femminile, e li affronto. Da donna, i maschilisti mi massacrano. Da maschio, a volte abbassano la cresta ma più spesso mi danno dello sfigato, uno che si ingrazia le ragazze per rimorchiare». Peccato che di rimorchiare Lorenzo non abbia bisogno perché è fidanzato e anche molto bello. Ancora incerto fra diventare cantante (è una star su youtube col nome Seth Storm) o professore, sui social di tempo ne trascorre tanto. «I maschilisti, lì dentro, fanno branco. Ti imbatti nella vignetta in cui una donna viene presa a schiaffi se annuncia di essere incinta, fotomontaggi in cui i volti di personaggi pubblici femminili vengono sovrapposti a corpi straziati. Io cerco di farli vergognare, ma segnalo i peggiori». Il guaio è che gli admin dei social network non sono quasi mai d’accordo. «La foto con una donna che allatta viene rimossa, quella dove viene augurato stupro e morte a una politica, no. La mia casella di posta è piena di “abbiamo esaminato la sua richiesta e non viola i nostri standard“. È surreale».
Davide Insinna, 42 anni, artigiano edile
Sarà perché cucina come un Cracco, ma Davide Insinna le donne non le ha mai viste come delle colf. La sua avventura da paladino contro la violenza di genere è iniziata per caso. Nel 2004 ha fondato a Torino la no profit Nuovi Orizzonti e poi l’ha associata all’iniziativa di Amnesty International Mai più violenza sulle donne. In attesa di essere convocato, ha cominciato a studiare il problema in tutte le sue forme. «È stata una folgorazione: ho deciso di dedicarci la maggior parte delle mie forze», racconta. All’arrivo di Facebook in Italia, Insinna apre una pagina chiamata No alla violenza sulle donne, ma accade qualcosa. «Qualcuno ne ha aperto un’altra con lo stesso nome della mia, rubando l’immagine del profilo, lo slogan, tutto. Solo che se una donna maltrattata si rivolgeva a loro per sbaglio le consigliavano di stare alla larga dai centri di accoglienza e la convincevano a rimanere con l’aguzzino». Pagando la pubblicità su Facebook, cosa che lui non può permettersi, i “cloni” riescono a portare la loro pagina a 500mila iscritti. «Indago su chi c’è dietro e salta fuori qualche nome, professionisti incattiviti da divorzi, con moglie fuggite proprio in quei centri che cercando di distruggere. Una vera organizzazione». Insinna ha dovuto investire del tempo a smascherare ovunque sul web la pagina clone, fiaccandola. «Il mio obiettivo ora è di aumentare il numero dei centri di accoglienza in Piemonte, che sono sempre strapieni. I fondi li cerco però dalle banche, dall’UE, dalle multinazionali. Se solo le istituzioni, assenti economicamente, ci appoggiassero almeno mettendo il nome…».
Gianluca Aphel, , 52 anni, ristoratore
A Calcata, 30 chilometri da Roma, meno di mille abitanti, il ristorante La Piazzetta con il menù in romanesco è un’istituzione. Il gestore, Gianluca Aphel, romano, si finge burbero e minimizza il suo impegno contro la violenza di genere. «Ho due figlie di 19 e di 21 anni: è strano che mi dia da fare perché la loro vita sia meno pericolosa?». Aphel è separato, senza che questo abbia fatto di lui un misogino. La sera, dopo aver portato il conto all’ultimo cliente, gira un po’ su internet. Inizia ad interessarsi alle piccole comunità di accoglienza per donne maltrattate nei paraggi di Roma, «fondata a volte da donne con un passato di maltrattamenti, che ora accolgono altre come loro». Gianluca scopre che se non la passano bene, i soldi sono pochi. Offre una quota economica associativa di sostegno e, da allora, si dà da fare. Rimedia e trasporta per loro reti, materassi, biancheria per le nuove arrivate, organizza cene di raccolta fondi al ristorante e fa propaganda fra i clienti. «Sa che mi dice qualche uomo? “Hai già tanto da fare col lavoro: perché perdi tempo anche con questa storia?”. Ma me la prendo anche con le madri che spesso si adeguano alle convenzioni sociali più becere, come quella di spingere il figlio a diventare uno sciupafemmine. Per poi lamentarsi se i mariti, indottrinati nello stesso modo, ora le tradiscono».