Trovare l’anima gemella richiede un metodo di studio
Non so come vadano le cose per le trentenni di oggi ma quando avevo (più o meno) quell’età era un pullulare di gente che mi chiedeva: «Quando ti sposi? Non senti il ticchettio dell’orologio biologico? Mica vorrai rimanere vecchia e sola all’ospizio?». Io ascoltavo preoccupata. Annuivo, prendevo nota del messaggio (devi procreare per avere un giorno qualcuno che ti cambi il pannolone), ringraziavo. Ma stringevo un patto con me stessa: se proprio devo farmi mettere l’anello al dito non posso accontentarmi del primo Principe Fallato che passa: voglio il meglio. E il meglio richiede un certo impegno. Ho iniziato a studiare le tecniche di seduzione, divoravo manuali. Poi, un’amica americana è arrivata e mi ha detto: «Butta via tutto: ce l’ho io la bibbia per te». E mi ha prestato la sua copia già consunta di The Rules, il prontuario per catturare il marito devoto e ottenere da lui il vero amore, uscito da poco negli Stati Uniti. Ero perplessa a causa della copertina leziosa. Ma l’amica mi assicurò che funzionava e che stava diventando un fenomeno inarrestabile. Ho iniziato a leggere. Qualche settimana dopo, tramite la prima, lenta e gloriosa connessione 28k, ordinavo dagli Stati Uniti una copia tutta per me e imparavo a memoria le trentacinque regole.
Prima di andare avanti, una premessa. Sono passati vent’anni esatti dall’uscita del libro e non sono single. Sono proprio “zitella”. Una sequela di fidanzati e mai sposata.
Non mi sono resa conto subito di qualche controsenso già nell’introduzione. «Non perdere tempo con uomini a cui non piaci». Giusto. Ma con quelli a cui piaccio me la cavo già da sola, se ti ho comprato è perché mi devi aiutare a sposare quello da cui non sono corrisposta. Poi, le autrici Ellen Fein e Sherrie Schneiderraccontano della nonna di Melanie che, costringendo i corteggiatori a fare anticamera, aveva «più proposte di matrimonio che scarpe». Giusto. Ma nel 1917 il genere femminile non era un grande catalogo dove gli uomini sceglievano la migliore madre per i loro figli? E soprattutto, chi è Melanie?
Ma passiamo alla regola #1: costruire l’immagine della lettrice. Quello che oggi chiamano “self branding”, con una serie di consigli non proprio rivoluzionari: meglio snelle che grasse, gli uomini amano i capelli lunghi, se hai un brutto naso fai una plastica, non vestire come un maschio, vai agli appuntamenti pulita e in ordine, non essere ansiosa. Devi, insomma, diventare «una creatura come nessun’altra», smilza, con capelli lunghi e il naso rifatto. Come gli altri milioni di single che hanno comprato il libro. Comunque, sui punti da uno a cinque ero a posto. L’ultimo, controllare l’ansia, mi metteva ansia. Le autrici venivano in aiuto suggerendo di comportarsi sempre come fossi appena sbarcata da un Concorde (costoso aereo mitologico ormai in pensione) in arrivo da Parigi. Che per me era: tenere sempre un sacchetto in borsa nel caso dovessi vomitare per l’agitazione. Intanto, oltreoceano nascevano i primi gruppi d’incontro fra “rules girl” che discutevano insieme i progressi. Come alcolisti anonimi.
Dopo aver riletto il libro da cima a fondo mi sono sentita pronta a metterlo in pratica a un party dove, fra gli invitati, ci sarebbe stato un tipo sfuggente che mi piaceva. Prima di imparare le regole, sarei corsa a salutarlo e avrei attaccato bottone. Stavolta invece mi aggiro da una parte all’altra con un bicchiere di succo d’ananas in mano («non fare tappezzeria, tieni le mani occupate, chiacchiera con tutti ma con nessuno in particolare»). Evito accuratamente di fissare l’oggetto del mio interesse e di parlarci per prima (regola #2). Ed è quello che fa pure lui, che se ne va con un’altra. Sono rientrata a casa più frustrata di un pescatore di telline col paniere vuoto. Mentre ingoiavo dragees interi, ho deciso di puntare su uno nuovo obiettivo. Il sabato seguente arrivo nel mio pub preferito ben truccata e pettinata e con indosso un abitino accattivante, invece dei soliti jeans. Faccio il mio ingresso incedendo come la dea che le autrici consigliano di imitare (che poi deve aver aperto una scuola di danza dentro Anastasia Steele), sorrido senza guardare nessuno in particolare. E il barman romano mi grida dietro: «Fata, oggi cerchi marito?». Che abbia letto anche lui le regole? Faccio finta di nulla e seleziono con più rigore del solito i corteggiatori (il cui numero, in verità, è il solito), tenendo bene a mente che l’uomo con cui passerò la serata a flirtare potrebbe diventare il mio consorte. Ne snobbo uno con la t-shirt di una squadra di calcio (presagio di domeniche tutte uguali) e allontano come una busta di antrace l’ex in cerca di minestra riscaldata. Rimangono due sconosciuti, e opto per il più bello. The Rules non si sofferma sul rischio di scegliere un candidato troppo attarente. Però insegna a impostare il rapporto in modo che lui straveda solo per te mentre le altre si chiedono: «Perché lei sì e io no?».
Annuendo interessata, lo lascio parlare (di sé), commento brevemente ciò che dice, senza apparire troppo ansiosa di piacergli. L’aria condizionata del Concorde deve avermi disidratata perché ho la bocca secca, ma il cavaliere non offre da bere come più o meno consiglia la regola #4 («non pagare il conto»). Forse è già così cotto di me da distrarsi. Bene. È come quel tizio di cui si parla nel libro, tanto emozionato da scordare dove ha parcheggiato l’auto con cui deve riaccompagnare a casa una “rules girl” (Melanie?). Di cui poi si innamora follemente proprio perché lei, seguendo la #35 («non essere pesante») attende tranquilla che la ritrovi, invece di immaginarlo mentre ci dimentica dentro il loro figlio di due anni a ferragosto. Intanto la spunto su un fronte significativo: evitando con maliziosa casualità i suoi baci (per la regola #14 sono già consentiti, però voglio strafare), sono riuscita ad accendere il suo desiderio e mi chiede di rivederci. Ci scambiamo i numeri e come da regola #7 («accetta appuntamenti per il sabato solo se ti vengono rivolti entro mercoledì») mi sta chiedendo di rivederci nello stesso posto con ben sette giorni di anticipo. Ciò mi esenta dalla regola #4 («non incontrarlo a metà strada, fatti venire a prendere») visto che al pub ci arrivo a piedi. Il mercoledì mi chiama dal lavoro mentre è in pausa pranzo solo per sentire la mia voce (mi pare stia andando benone!), dandomi modo di mettere in atto la regola #5 («Non chiamarlo mai, lascia che ti chiami lui») e la #6 («Concludi sempre tu la telefonata»).
È sabato. Quando giungo al pub con calcolato ritardo, il Principe Azzurro è già lì e chiacchiera con una gattamorta di cui mi sbarazzo con una spallata quando lo saluto con due baci sulle guance. Mi comporto testualmente come da regola #9: sono «dolce e leggera» (come una brioche dietetica), rido alle sue battute, evito di riempire con sciocchezze i vuoti imbarazzanti della conversazione (deve riempirli lui con frasi geniali) e mi sforzo di non pensare al nome del nostro primo figlio. Anzi, come consigliato, mi distraggo pensando a un altro uomo (Brad Pitt in Vento di passioni) per non tradire il disperato bisogno di sistemarmi. Lui si ricorda di offrirmi da bere, mi parla del suo lavoro e dei suoi hobby (prende lezioni di spada medievale!). Ci baciamo. E ridendo affettuosamente mi avvisa di non sporcargli il collo della camicia col rossetto, ché siccome non ha la lavatrice, le porta tutte a lavare dalla sua fidanzata. Ho quindi occasione di sperimentare la regola #11 («decidi tu quando mettere fine all’appuntamento») e la #23 («non frequentare uomini sposati», ma va bene lo stesso). Lui ci rimane male e, candidamente, mi fa notare di non aver detto di essere libero né io gliel’ho chiesto. Arrivata alla regola #15, non dovrebbe esserci un minimo di garanzia che le cose stiano andando per il verso giusto?
Nel resto degli anni 90, mentre Charlotte di Sex And The City rendeva The Rules ancora più celebre citandolo spesso, ho riprovato con un altro italiano e poi un newyorkese, giusto per capire se un manuale di dating scritto da americane valga solo con americani. E mi sono sempre arenata a metà strada. Peccato: volevo arrivare almeno alla #33: «Rispetta le regole per sempre e vivi felice e contenta». Che oggi sospetto volesse dire: non struccarti fino a quando sei vedova. Un grande bluff? La verità è che The Rules funziona. Leggerlo (in Italia, Le regole è ancora pubblicato da Bur) è solo un ripasso di quello che abbiamo sempre saputo: il “buon partito”, quello con una posizione, e che ti manda i fiori in ufficio suscitando invidia, nella maggior parte dei casi è un tipo di uomo che ama lottare per averti, che trova rassicuranti gli stereotipi femminili (raccomandati vivamente in The Rules) ma che non vuole sapere come vengono messi in scena. Se tutto questo non ti riesce spontaneamente, un uomo così potrebbe anche non piacerti. Magari lo insegui solo perché sei spinta dal monito di solitudine e sconfitta personale di amici e parenti. Ma vale la pena interpretare per tutta la vita un ruolo che non è il tuo? In fondo, non è riuscito a Charlotte York. Né all’amica che mi ha prestato il libro. Chissà come è andata a Melanie.
Che fare, allora? Seguire il cuore. E donarlo a uno di quegli uomini adorabili che ti amano per ciò che sei senza bisogno di strategie. E che quando sei struccata ti chiedono: «Come sei bella oggi, cosa hai fatto?». Se solo qualcuno scrivesse una guida su dove scovarli.