Sindaco o mamma? La scelta è solo per noi italiane
E come al solito quando una donna italiana vuole fare carriera, anche solo diventare sindaco, non parliamo di capo del governo, qualcuno ne insinua l’inadeguatezza. Ecco un episodio che ho vissuto in prima persona e che dimostra come dover scegliere fra carriera e maternità sia un dilemma solo per le donne italiane.
Nel 1990 avevo un’amica belga. Viveva in Italia da qualche anno e ogni tanto andava a trovare i nonni e i vecchi compagni di scuola ad Anversa. Quell’anno mi chiese di andarci con lei.
Ad Anversa si atterra dopo aver bucato la cappa di nuvole tipica del Nord Europa. Ma poi la città si fa perdonare con l’architettura e la Kriek Bier. Dopo aver fatto conoscenza di tutta la numerosa famiglia, un plotone di zii, zie e cugini, la mia amica ha proposto di andare a trovare la sua ex compagna di banco delle elementari. La casa della ragazza era in un quartiere fresco e ordinato nell’hinterland, come ordinato era il suo giardino e fresca la verniciatura delle staccionate che lo circondavano.
Quando la porta si è aperta mi sono trovata davanti una ragazza indiana dalla pelle scurissima. «Non abito più qui con i miei genitori, ho un appartamento in città per seguire meglio la scuola, sono venuta solo per l’appuntamento con te», aveva spiegato subito alla mia amica dopo averla abbracciata. Mi presentò poi la mamma, una signora con gli occhi scuri, il mento lungo e la pelle chiara, che l’aveva evidentemente adottata. La signora ci invitò ad andare con lei al supermercato a comprare qualcosa per fare merenda, ma già che c’eravamo fece la spesa e la aiutammo a caricarla sulla sua auto, un’utilitaria italiana. A casa ci preparò un tè, aprimmo la scatola di biscottini al burro appena comprati e abbiamo iniziato a chiacchierare in inglese.
La signora, che si chiamava Wivina, mi mostrò una foto degli altri figli quando erano bambini, tre maschi di cui uno disabile. Tenevano alto un cartello per uno e componevano la scritta “vogliamo una sorellina”. Ma siccome la sorellina non arrivava, l’avevano adotta. Una bella fatica gestire tutti questi figli, uno anche con problemi, pensai. Così, inzuppando un biscotto nel tè le ho chiesto, come ingenua forma di cortesia: «Signora, ma lei lavora pure?». E lei con altrettanta noncuranza mi ha risposto… (continua a leggere su marieclaire.it).