
Sangue Giusto di Francesca Melandri è un libro da leggere
Sangue Giusto di Francesca Melandri, pubblicato per la prima volta nel 2017, è la storia di una donna, Ilaria Profeti, la cui routine romana fatta di problemi di parcheggio e rapporti variabili col vicinato, viene interrotta dalla improvvisa comparsa di un ragazzo africano che, esibendo i documenti col patronimico, si dichiara figlio del figlio che il padre di Ilaria ha avuto negli anni 30 in Etiopia da una donna abissina.
Il racconto primo ambientato intorno al 2010, anno della visita del leader libico Gheddafi a Roma (di cui si parla opportunamente nel romanzo, creando un legame con l’attuale dramma dei centri di detenzione libici), si divide in tre narrazioni associate a tre diversi personaggi: la protagonista Ilaria, il ragazzo africano Shimeta Attilaprofeti, e il padre novantenne di Ilaria, Attilio Profeti.
Sangue Giusto si colloca fra quei romanzi postcoloniali che hanno l’obiettivo di riscrivere la storia degli italiani nel Corno d’Africa scevra dalla retorica propagandistica del fascismo. È un tema che a distanza di 85 anni di distanza permette ancora agli autori che lo affrontano esplorazioni inedite e stranianti, a causa del velo di silenzio con cui i reduci delle campagne africane hanno coperto, al loro ritorno, imprese di cui non andare particolarmente fieri una volta esaurita l’euforia ubriacante del ventennio.
L’autrice Francesca Melandri ha una lunga esperienza nel mondo del cinema e della tv come sceneggiatrice ed è dotata dell’versatile capacità di passare con disinvoltura da soggetti pop per la tv generalista a una delle forme di scrittura più impegnative: il romanzo storico. Nata a Roma nel 1964, l’autrice (sorella dell’ex ministra Giovanna Melandri) appartiene alla generazione di figli o nipoti dei ragazzi del fascismo e non è noto un passato familiare nel corno d’Africa. Per la stesura di Sangue Giusto, scritto dopo altri due romanzi di successo, Eva dorme e Più alto del mare, l’autrice ha dovuto quindi eseguire un’accurata ricerca storica riuscendo a rendere il romanzo credibile e coinvolgente quanto quelli scaturiti da testimonianze dirette, come Tempo di uccidere di Ennio Flaiano. Francesca Melandri ha confermato in molte interviste l’intenzione di riscrittura della Storia e la volontà di smentire una delle falsità più diffuse sulle leggi razziali in Italia, ossia che Mussolini le avesse varate per far piacere a Hitler “mentre invece facevano parte del costrutto ideologico del periodo fascista”, ha detto. Mescolando personaggi di finzione a quelli realmente vissuti, l’autrice affida questa missione a diverse analessi eterodiegetiche esterne come quella su Rodolfo Graziani, il comandante noto per una sanguinosa repressione della guerriglia etiope, o quella che segue la spedizione dell’antropologo Lidio Cipriani, uno dei primi firmatari del Manifesto della razza, che gira per l’Abissinia ricavando calchi di volti degli abitanti, e a cui Melandri affianca il personaggio immaginario di Attilio Profeti come assistente, così incantato dalle teorie razziste da diventare redattore della rivista La difesa della razza. Proprio l’Attilio Profeti del dopoguerra, con il suo non-detto ai figli, rappresenta la figura dell’italiano partecipe o testimone di crimini di guerra impuniti che all’indomani del 25 aprile ha finto anche con se stesso che nulla fosse accaduto, creando una sorta di ellissi storica ed emotiva fra l’essere fascisti e il non esserlo più, quella mancata riflessione che i tedeschi, invece, si sono auto-obbligati a fare. Melandri, attraverso la figura di Attilio Profeti ha voluto descrivere esattamente quel tipo di figura che “pattina sopra questa mancanza di responsabilità” (come dice lei stessa in un’intervista) e che “suscita sentimenti contrastanti fra l’empatia e la profonda disapprovazione”.
La protagonista Ilaria è collocata non a caso nel quartiere multietnico Esquilino per creare un denominatore comune e immersivo con il colonialismo, che oggi si inverte con modalità in cui il concetto di “invasione” lamentato dagli italiani risulta imbarazzante se paragonato alle violenze del precedente storico. Scoprendo di aver avuto un fratello etiope la protagonista Ilaria Profeti, che ha già due fratelli e un fratellastro nato da una relazione extraconiugale del padre, ci fa riflettere sulla non remota possibilità della parentela che può avere ogni italiano con l’immigrato sconosciuto che incrocia per strada. Altro spunto di riflessione riguarda l’agnizione finale, quando si scopre che il giovane Shimeta Attilaprofeti è morto nel 2005 durante le proteste contro le elezioni truccate in Etiopia che hanno insanguinato le strade di Addis Abeba. Il ragazzo sul pianerottolo di Ilaria Profeti è infatti un cugino di Shimeta che ne sta usando i documenti, e la scoperta suscita nel lettore una riflessione sulla superficiale incapacità degli europei di distinguere gli immigrati l’uno dall’altro e di considerarli tutti uguali in foto, ma anche di come un ragazzo africano sia consapevole di questa nostra mancanza.
A differenza del già citato Tempo di uccidere di Ennio Flaiano, narrato in prima persona, Francesca Melandri ha scelto di raccontare la storia usando il narratore esterno e la focalizzazione zero, concentrandosi comunque sulla storia del colono italiano, fatta eccezione per la prolessi a focalizzazione interna del capitolo “zero” iniziale. La riscrittura di questa parte di Storia italiana di Melandri si differenzia inoltre da quella di autori e autrici originare dei luoghi oggetto dell’effimera conquista italiana, che offrono esempi di narrazione “alla rovescia”, dal punto di vista del “colonizzato”. In particolare, alcune di queste opere si concentrano sul madamismo e le conseguenze su questa usanza dopo il varo delle leggi razziali che lo hanno vietato per non “inquinare la razza”. Un esempio di romanzo di questo filone è L’abbandono dell’italo-eritrea Erminia Dall’Oro che racconta la storia di una Madama eritrea e dei suoi due figli avuti da un soldato italiano.
Conclusione finale.
Come già detto, il romanzo Sangue Giusto di Francesca Melandri cerca di suscitare lo straniamento costringendo il lettore a rivedere con onestà il concetto di “italiani brava gente”. Ne sono stata fortemente colpita personalmente perché mi ha permesso di sciogliere un nodo del mio passato familiare proprio attraverso l’uscita da un automatismo della percezione consolidato dal silenzio familiare. Sin dalla nascita, infatti, mi è stato sempre raccontato che mio nonno era stato un impresario edile in Egitto, e pur studiando la Storia, avevo voluto accettare la versione edulcorata del suo passato somministrata a noi nipoti. Sangue giusto mi ha costretta a identificare mio nonno nel personaggio di Attila Profeti e ad ammettere che il Nilo Blu, su cui mio nonno costruiva porti e ponti, non è “in Egitto”, come fingevano i miei familiari per allontanarlo dallo scenario principale, ma in Etiopia. Cresciuta con la convinzione che mio nonno fosse “altro da quelli”, una vittima della guerra finito poi prigioniero dell’esercito britannico e spedito in Sri Lanka, a mano a mano che andavo avanti nella lettura ho dovuto rimettere in discussione tutto e accogliere la possibilità, senza ormai poterla più verificare né con lui, né con i suoi figli, che nonno fosse invece proprio “uno di loro”, che abbia avuto anche lui la sua Madama, probabilmente dei figli, che io possa avere dei parenti in Africa e che fra i ragazzi e le ragazze che affondano con i barconi fatiscenti nel Mediterraneo, anch’io possa avere un nipote sconosciuto. (Foto apertura di Erik Hathaway on Unsplash)