Cose da dire sul Corriere che scambia Monica Vitti con Mariangela Melato
Lo screenshot ha fatto il giro dei social: il Corriere della Sera ha scambiato Monica Vitti con Mariangela Melato e gli ammiratori delle due attrici scomparse si sono risentiti. Giustissimo farlo notare, giusto indignarsi. Ma è anche giusto spiegare perché accadono queste cose e perché la crisi dell’editoria di cui si parla tanto non si riferisce a un’improvvisa decadenza della stampa, ma ai motivi che la stanno portando a decadere.
NB: Se non arriverete alla fine di questo pezzo, fate parte del problema.
Facciamo un passo indietro fino al 2008, anno di arrivo in Italia di Facebook. Si manifesta il primo calo di vendite dei giornali. Ma c’è la crisi economica, lo tsunami dall’America, e ogni calo di entrate viene attribuita a quello. Nel frattempo, nel 2007, Apple ha lanciato il primo iPhone e per quando nel 2012 viene rilasciato Candy Crush sono in molti a tenere già fra le mani uno smartphone. Da quell’anno, tutto d’un botto, sui mezzi pubblici non si vede più nessuno leggere libri e giornali. Tutti scrollano. Fra il 2008 e il 2009 c’era già stata la prima ondata di licenziamenti di giornalisti, intere case editrici hanno chiuso i battenti mandando a casa anche un centinaio di dipendenti alla volta, mentre la gente entrava sempre di più nell’ottica del “ho diritto ad avere gratis tutto ciò che è digitale”, scaricava la musica e i film su eMule e su Lime, invocava motivazioni etiche e politiche per giustificare quello che era a tutti gli effetti un furto, senza pensare che quel digitale richiede a qualcuno le stesse ore di lavoro che ci volevano per l’analogico.
Così, uno dopo l’altro, hanno chiuso per mancanza di lettori testate storiche come A (ex Anna, 83 anni dal primo numero), o bellissime come XL (ci scriveva persino Ammaniti, come si è potuto lasciare che chiudesse?) e se il giornalino Cioè resiste ancora, ha però smesso di essere il riferimento principale dei teenager dopo 30 anni di vita, quando vendeva 800mila copie a settimana. Ok, le cose cambiano, ci sta. Intanto, dal 2014 al 2021 i lettori dei quotidiani calano del 40,81%: quasi 7,9 milioni di italiani decidono di non leggere più un quotidiano. Nemmeno la domenica. “Sono faziosi”, “gli articoli non sono più quelli di una vola”, si giustificano in molti. Ma intanto calano anche le vendite dei libri, che non sono né faziosi, né cambiati. Nel frattempo i grandi brand iniziano a rivolgersi agli influencer per promuovere i loro prodotti, sottraendo alle testate anche questa fetta di guadagni. Le “profumate sovvenzioni dello Stato” citate dai populisti sono state abolite da tempo e riservate solo a poche testate di nicchia (e non sono profumate), per garantire la pluralità di informazione, e l’editoria ha iniziato a ricevere gli stessi aiuti rivolti a qualsiasi altro settore in affanno. Alcuni quotidiani hanno iniziato così a mettere il paywall, ossia i contenuti riservati agli abbonati. Contestualmente, sono nati i gruppi Telegram in cui condividere le copie piratate, perché rubare dà troppa soddisfazione, anche se poi quella copia non la leggi. Chi non ruba, invece, si perfeziona nella cattura dello screenshot e condivide sui social solo il titolo e il sommario di un articolo per avviare la discussione (o un flame, se il titolo pur dare adito a interpretazioni errate), ma non mette il link. E così sottraggono all’autore anche la possibilità di convertire il suo sforzo in guadagni minimi.
Ma un paese non può essere privato di un diritto costituzionale qual è l’informazione, e per sopravvivere le testate sfruttano l’opacità delle regole affidando (spesso e/o anche) i siti a ragazzi senza iscrizione all’albo, senza una preparazione, senza una memoria storica, senza un praticantato, con un’età troppo bassa per distinguere Monica Vitti da Mariangela Melato, perché a un professionista non puoi dare 800 euro al mese, ci sono i sindacati a protestare. Oppure, tutto pesa sulle spalle di veterani che se prima riuscivano a confezionare un pezzo al giorno con cura ora ne devono scrivere dieci, venti, per giustificare un normale stipendio, e gli apicali sono così oberati per i tagli del personale che non riescono a controllare tutto ciò che viene pubblicato. Non ci sono più nemmeno i correttori di bozze. E così che due grandi attrici si fondono in un pasticcio, per fortuna riparabile al volo.
Tutto questo ognuno dovrebbe immaginarlo da sé ogni volta che cerca in casa un quotidiano vecchio da mettere sotto la lettiera del gatto e non lo trova. Immaginandolo, dovrebbe rattristarsi leggendo uno strafalcione ma senza partire con la lancia in resta per lamentarsi del contenuto di un giornale che non compra ormai da 13 anni. I giornali moriranno, forse, e non ci si può fare nulla. Che i loro assassini, almeno, ne abbiano un po’ di pietà.