L’intervista a Robert Pattinson (e come tornare alle proprie miserie dopo averlo incontrato)


“La sua faccia non mi è nuova“. Ecco fatto. Come se già trovarsi a meno di un metro da Robert Pattinson, con la propria mano destra stretta nella sua più del tempo necessario (maledetto) non fosse già una prova durissima per una povera giornalista che con i suoi 46 anni ha quasi tutte le armi spuntate e deve gestire il disaccordo interiore fra ciò che vorrebbe urlare e quello che invece deve fare con decenza e decoro per non perdere il posto di lavoro. No, le giornaliste non si dissociano dagli ormoni se il personaggio da intervistare te li aspira fuori come un Dyson. Erano le 2 pomeridiane del 13 giugno 2013 (non ho tatuato la data sulla coscia, ma poco ci manca), il penultimo di quattro giorni a Los Angeles ospite di Dior con un esercito di giornalisti arrivati da tutto il mondo. Un viaggio stampa da sogno di tempi che non torneranno più, alloggiata in una suite al Beverly Hills Hotel grande come un campo da tennis (“aspetta, devo fare uno screenshot della chat, quando mi ricapita con su scritto Beverly Hills” mi ha detto un amico dall’Italia), le cene ai ristoranti come Nobu sempre piene di celebrità che tutti indicavano e che io non vedevo perché per un’inopportuna condizione irreversibile, dopo il crepuscolo la vista mi va in ferie. Le auto con autista che ti scarrozzavano per lo shopping da Neyman Marcus da cui si usciva a mani vuote perché anche in saldo le Manolo Blahnik costavano quanto la dote di nozze della nonna, ma siccome le temperature erano inaspettatamente freddine un salto almeno da JCrew è toccato farlo perché i vestiti in valigia erano troppo leggeri. La gita privata ai Paramount Studios, la foto alla bobina di pellicola originale di Colazione da Tiffany. Tutte quelle cose su cui le amiche vogliono i dettagli al tuo ritorno mentre le meno amiche ti lanciano strali in silenzio. Ma che importa degli anatemi quando di fronte a te c’è Robert Pattinson che ti dice: “ci siamo già visti da qualche parte?“.

Robert Pattinson a Roma nel 2008 (Foto Sonia Tonon)

In effetti c’eravamo già incontrati nel 2008 alla prima di Twilight al festival del film di Roma. Ora sembrano passati secoli, pareva impossibile accostare le parole Robert Pattinson Batman, in quel 2008. Ricordo gli errori di valutazione del fenomeno, nonostante i libri della saga si vendessero come mentine. Forse lui non si aspettava di essere già famosissimo e con gli occhi lucidi da capriolo colpito dai fari, insieme a una nervosa Kristen Stewart affetta da sindrome della gamba inarrestabile, affrontava ragazzine in iperventilazione ormonale e plotoni di giornalisti che non avevano idea di cosa parlasse il libro. Io sì, ero stata anche la relatrice di Stephenie Meyer a Volterra, la sua unica presentazione italiana. Se davvero di tutto quel caos Robert Pattinson si ricorda di me lo propongo per il test d’ammissione al mensa. Ma è più probabile che lo abbia detto a tutti i colleghi. Glielo dico. Insiste  invece che quei primi incontri semplicemente non riesce più a dimenticarli. Era un ragazzo inglese molto semplice, il Cedric Diggory che muore tragicamente in Harry Potter e il calice di fuoco. Al tempo vestiva molto casual, era un ragazzino di 22 anni. Nel 2013 l’occasione per intervistarlo era il suo contratto come testimonial del profumo Dior Homme e ai giornalisti veniva mostrata in anteprima lo spot firmato dal regista Romain Gavras, con il sottofondo di Whola Lotta Of Love dei Led Zeppelin. Robert aveva anche posato per una serie di scatti per Nan Goldin. Gli ho chieste se, visto l’accostamento con il profumo di un brand di haute couture stava mettendo più attenzione al suo guardaroba. E l’intervista ebbe inizio… (da qui, è più o meno quella originale che uscì sul numero di ottobre 2013 di Marie Claire).

Sorride mostrandomi i denti fino a quelli del giudizio, indica con un ampio gesto disarmante il suo cappellino con la visiera rivoltata, la camicia scura a maniche corte aperta sulla T-shirt grigia, i jeans neri. “Non mi pare“, e ride… (maledetto). “No, non penso più del necessario a ciò che metto. Faccio i miei acquisti a caso seguendo l’umore del momento. Potrei indossare la stessa cosa per giorni, andrebbe bene anche uno di quei pagliaccetti per neonati, sa, quelli con i bottoncini sulla patta”. E ridacchia. Invece la sera prima, alla presentazione dello spot alla Soho House sembrava a suo agio (e fin troppo bello) nel completo scuro, forse firmato Dior anche quello. Porta almeno il profumo? Insisto. “Da qualche giorno si“, ride. Occhiataccia della press agent. Si ricompone. “Scherzi a parte, ci ho provato a quell’età in cui cominci a interessarti alle ragazze e ti inzuppi di colonia scadente e loro dicono: cos’è questa puzza? Adesso sto imparando“. Qualche ora prima avevo scambiato due chiacchiere anche con Romain Gavras, il regista dello spot. Mi aveva raccontato che durante la sequenza dell’auto in spiaggia Robert è finito dritto in acqua. Glielo dico e diventa rosso ma è compiaciuto in modo demenziale. Mi ha detto pure che sei colto e intelligente, gli aggiungo, e che vi scambiate SMS sexy tipo “cosa indossi in questo momento?“. Scoppia a ridere. “È vero ha iniziato lui e la prima volta mi sono chiesto: What? Chi diamine è?. Poi l’ho riconosciuto e sono stato al gioco. Romain è giovane e ambizioso ma non si prende troppo sul serio. Ha senso dello humour ed è un po’ anarchico… Mi piace!“. Noto che non è più pallido come ai tempi di Twilight. La pelle liscia come lacca cinese sta prendendo il colorito californiano… Cos’altro volevo chiedere? A sì: come ha speso i soldi del suo primo assegno come attore. “In una chitarra, e poi nella casa di Los Angeles. Meglio comprare qui che a Londra, nella mia città natale, dove le case costano troppo!“. Chissà in questa casa nuova chi gli rifà il letto la mattina (perché sono finita con la testa nella camera da letto?). “Che ci creda o no, non ho la domestica“. Trasalisco: te lo rifai da solo? “No lo lascio così com’e“, ghigna. Gli domando cosa la gente comune sopravvaluti e sottovaluti dell’essere attore. “Lo prendono per un gioco, invece è un lavoro molto impegnativo. Ma dall’altro canto, non capisco le star che rispondono ‘non se ne parla proprio’ quando gli chiedono se i figli ne seguiranno le orme: è uno dei mestieri più belli del mondo! Le dispiace se bevo una birra?“. Faccio cenno di no con la testa. Ma vuoi vedere che tutta questa spacconaggine è una posa? Mi racconta che frequenta ancora i vecchi amici: “Sono grandiosi, molto protettivi, e quando sto con loro i fans sono meno invadenti. Certo, è un po’ complicato andare in un locale tutti insieme senza che fuori si formi la ressa dopo pochi minuti“, ammette con un’espressione sinceramente imbarazzata. Gli chiedo cosa considera un tradimento da un amico. Risponde che un vero amico non ti tradisce mai, se lo fa non è un amico. Che invidia per le sue certezze. La sensazione è che sia riuscito a non farsi stravolgere la vita dal successo: è così tranquillo che viene da chiedersi che tipo fosse a scuola. Glielo dico, non ci pensa su molto. “Non sono mai stato un gregario ma neanche entusiasta di prendere il comando. Me ne stavo per conto mio e associavo l’idea di ribellione all’essere sempre ubriaco. No, aspetti, questa è terribile!“. La press agent lo guarda male, ma lui ride lo stesso fragorosamente. “In realtà, a proposito di ribelli, mi sento fortunato perché sono nato in un paese dove non c’è bisogno di fare la rivoluzione, ma chi non ha avuto la stessa sorte ha tutto il diritto di protestare“. Poi si fa semiserio e parte spontaneamente con una considerazione: “sto anche invecchiando… Ammetto di essermi preoccupato all’idea del dopo Twilight. Tutto mi sta andando bene da troppo tempo e mi chiedo se non sia presagio di qualcosa di terribile”. In che senso, scusa? “Ho giù compiuto 27 anni, l’età in cui muoiono le star…“. Finalmente capisco dove vuole arrivare. Ma no! Esclamo. “Ma sì! Jim Morrison, Amy Winehouse, Janis Joplin… Non vedo l’ora di compiere 28 anni a maggio“, e ride di nuovo, nel caso in cui l’avessi preso sul serio. Gli dico che i media hanno già indicato il suo “successore“, un certo Douglas Booth (i media si si sbagliavano, ndr) e gli chiedo se lo conosce e se lo considera un erede o un rivale. “Ancora non so nemmeno chi sono io, magari me lo sa dire lui. Questa faccenda di appiopparti un duplicato appena sei un po’ più vecchio non ha senso“. Perché, lui non veniva spacciato per l’erede di qualcuno, all’esordio? “Sì, di Gesù. Il nuovo Messia“, e sghignazza fissandomi con una faccia di bronzo compiaciuta quando alzo gli occhi al cielo e non riesco a trattenere un sorriso. “Ora”, riprende, “sono sul set di Map Of The Stars di David Cronenberg, che adoro. Videodrome e Scanners sono tra i miei film preferiti. Qui recito con Julianne Moore, che è straordinaria e la sceneggiatura è fantastica. È un’esperienza nuova perché ho una parte più piccola del solito, di recente sono stato quasi sempre il protagonista.ma va bene così, preferisco ancora le produzioni indipendenti alle major che ti tolgono la libertà“.  Ora che vivi a Los Angeles, gli chiedo, ti sembra che Hollywood riesca rappresentare correttamente la società? Si fa serio. “No, non mi pare. Ma in questo momento storico rappresentare la contemporaneità è difficile anche con la musica; è un periodo di transizione, gli anni 70 e 80 erano ben definiti, i 90 avevano il grunge. Questo primo decennio del 2000 a cosa si riduce, Internet? I cellulari? La mia generazione verrà ricordata con un iPhone in mano, intenta a chattare e scambiarsi i messaggini senza dirsi nulla? Io non sono nemmeno sui social network, ci ho provato sotto falso nome ma ho cancellato l’account perché i miei amici non potevano trovarmi. Mi sentivo stupido“. Non glielo dico ma nel 2006, quando noi giornalisti siamo stati informati che avrebbe interpretato Edward Cullen, lo trovai su Facebook, gli chiesi l’amicizia e la accettò. Alla prima copertina in cui apparve la sua foto, l’account sparì. Visto che non li posti sui social, gli chiedo, vorrei che mi raccontassi uno dei tuoi momenti indimenticabili. “Ah, sicuramente quando è nato mio figlio“, ride con quella faccia da schiaffi. “Scherzo non ho figli! Invece non scorderò mai quando mi trovavo all’Olympic Stadium di Monaco per promuovere New Moon, c’erano 30.000 fan urlanti e Taylor Lautner basito diceva: ‘che diamine ci sta succedendo?’“. Gli parte uno sbadiglio. “Oh, sorry”, si scusa subito. “Vede? Mi sta facendo rilassare“, arrossisce lievemente (maledetto!). Mi trattengo dall’invitarlo a sedersi sulle mie ginocchia mentre gli canto una ninna nanna e gli chiedo invece cosa vorrebbe fare prima dei trent’anni. Si fa serio. “Pubblicare un disco. Sto scrivendo molti pezzi. E anche dirigere un film, ho un’idea nel cassetto ci sto lavorando. Dovrei farcela“ (ndr, non ha fatto né l’uno, né l’altro). Il tempo è scaduto (maledizione!). Ci alziamo dal divano e gli porgo la mano. Stavola me la stringe con entrambe le sue. “Allora, ci si vede per la terza intervista“, mi augura sornione. Maledetto ruffiano seduttore adorabile. Fuori dalla stanza, in attesa, c’è una collega giovane e carina che discute al cellulare col fidanzato. Lo sta rassicurando che no, il bel vampiro non cercherà di sedurla, “figurati se gli interessa una normale come me”, gli dice. Mah, io non lo darei così per scontato…