Il primo maggio provo sempre a immaginare quando andrò in pensione


Il Primo Maggio di ogni anno faccio sempre un bilancio della mia vita lavorativa e soprattutto di come mi tratterà la società quando andrò in pensione.
Ho iniziato a lavorare a 17 anni, nel 1984, mentre ancora studiavo.
Negli anni 80 ho fatto la babysitter e la commessa per datori di lavoro che non mettevano in regola nessuno. Ispettorato del Lavoro mai pervenuto. Ci mandavano cartoline dalle Maldive o da Sharm e al ritorno, abbronzatissimi, ci sollecitavano a fare assolutamente le vacanze lì perché erano posti bellissimi (grazie al).
Ho lavorato in un’agenzia immobiliare dove lo stipendio pattuito al colloquio era di 1 milione e mezzo, ma alla fine del primo mese te ne davano 800mila perché la titolare appena tornata dall’estetista ti informava indignata che un “periodo di prova” era d’obbligo. Ma eri ancora in prova anche il mese dopo e quello successivo, e quello dopo ancora, però lei continuava a girare per le scrivanie coperta d’oro come la madonna di Loreto cazziando i dipendenti che si dovevano dar da fare, “perché mi costate 1 milione e mezzo l’uno!”.
Un solo datore di lavoro mi ha pagato gli straordinari fino all’ultima lira (era Riccardo Schicchi). Per gli altri, andarsene all’orario pattuito era un segno di scarso attaccamento al dovere, o chiedere che le ore venissero pagato, se si restava, era un boicottaggio alla salute dell’impresa. Diva Futura, l’agenzia di Schicchi, è anche uno dei tre soli posti di lavoro dove nessuno mi ha molestata, ma quella è un’altra storia.
La maggior parte dei miei datori di lavoro, grandi e piccoli, non ha rispettato le legislazioni vigenti, applicando regolamenti interni arbitrari, ufficiosi e illegali, e/o contratti totalmente irregolari.
La maggior parte dei miei datori di lavoro ha evaso la corretta contribuzione non perché morivano di fame, ma per trarre maggiore profitto per sé.
Alcuni dei miei datori di lavoro hanno riconosciuto premi produzione ai dipendenti apicali che a fine anno avevano totalizzato il maggior numero di violazioni dei diritti dei lavoratori permettendo all’azienda di trarre maggiore profitto.
Vengo da una famiglia di commercianti e prima di lavorare, quando ero bambina, i grandi parlavano davanti a me di tutto pensando che non capissi o non memorizzassi. Ricordo bene i conoscenti e clienti di mio padre che alla fine degli anni 70 si vantavano di non fare alcun versamento ai loro dipendenti, ma nemmeno a sé stessi, perché “tanto quando saremo vecchi l’Inps sarà fallita”.
Ricordo lavoratori che chiedevano specificatamente di non essere messi in regola perché preferivano prendere qualcosa di più in nero, “tanto se li mangia lo stato”.
Molti di questi sono fra quelli che oggi si lamentano con lo Stato ladrone perché le loro pensioni sono basse. Ci sono imprenditori che hanno lavorato 40 anni in nero e oggi prendono la pensione sociale.
Se vostro padre, che ha invece lavorato duramente decenni con un contratto e con dedizione (le nostre madri erano per lo più casalinghe), oggi ha una pensione misera è anche perché la matematica non è un’opinione, i soldi a disposizione sono quelli e vanno divisi anche con chi non ne ha versati.
I miei primi contributi risalgono a dieci anni dopo l’entrata nel mondo del lavoro e sono spezzettati fra ben 5 enti diversi. Ci dovrò fare i conti quando andrò in pensione a 67 anni.
A voi più giovani come sta andando?
Vi ponete mai la domanda che mi sono posta io: “come sarà quando andrò in pensione?”.
Perché temo che questo post sarà valido per molto tempo…

Foto di apertura CoWomen on Unsplash