Cosa ho capito della vita dal concerto dei Måneskin al Circo Massimo


Il 9 luglio sono andata a mangiare la polvere e il fumo del vicino incendio al concerto dei Måneskin al Circo Massimo, il primo in 55 della mia vita di cui 10 da groupie in cui ho visto il cantante dover tradurre in inglese quello che diceva, e mi è servito a capire molte cose del mio Paese. E anche di me stessa, dopo aver retto due ore in piedi senza essere un cumulo di ossa rotte il giorno dopo (grazie Latika Montemurri, paziente istruttrice di yoga, ovunque tu sia in vacanza). Potrei citare un centinaio di canzoni che mi piacciono molto più di quelle dei Måneskin, perché non è questo che ha fatto di me una fan appassionata dei quattro pischelli romani. Cominciamo col dire che siamo un paese in cui ci è stato insegnato amaramente che il merito non esiste, che farsi il mazzo non porta necessariamente al successo, che senza raccomandazioni il talento non serve a nulla e anche, passando sul fronte sentimentale, che alle donne piace un certo tipo di uomo con determinate caratteristiche stereotipate e un po’ belluine fra cui non è sempre compreso il rispetto per le proprie compagne. Per cui questo fenomeno che sta dimostrando l’esatto contrario, destabilizza parecchio.

Una delle fan invitate sul palco abbraccia Damiano David

Poi sento di dover dire che i Måneskin – pure il nome è perfetto, pare un proclama sadomaso e invece in danese vuol dire “chiaro di luna”, una faccenda degna di Debussy – hanno fatto successo perché si presentano bene, è vero, anche il meno bellino dei quattro ha un-certo-non-so-che coccoloso. Ma bisogna lodarli perché non si sono adagiati sugli allori nemmeno quando la maggior parte di noi si sarebbe sentito appagato. Stanno lì con quell’aria di chi pensa che il meglio debba ancora arrivare, per cui studiano, sono sempre più bravi, hanno quella precisa volontà di migliorare in continuazione che è la più grande forma di rispetto che si possa riconoscere al proprio pubblico e tireranno fuori presto qualche canzone epocale. Damiano, che all’inizio sembrava quasi freddino col suo pubblico romano di appartenenza, ma dopo si è capito che la commozione lo stava schiacciando come un pilone di cemento e ricacciava indietro la lacrima, non è certo il ragazzo più bello del mondo, almeno non secondo i canoni a cui eravamo abituati.

concerto dei Maneskin

Io al centro con Ilaria Sadun, autrice della foto di apertura, e sua figlia Jole, al Circo Massimo

Ma saranno i canoni ad adattarsi a Damiano David, in futuro, cosa che riuscì solo a Paul Newman e James Dean, perché quando ‘sto giovanotto canta, si muove, parla dimostra quella sicurezza di saper leggere nella testa e nel cuore delle donne oltre il luogo comune e l’odioso mansplaining, senza mai sfoggi di machismo stantio, senza volgarità gratuite con cui l’ignorante distoglie l’attenzione dalla sua insipienza. Questo lo rende irresistibile per bambine, ragazze e signore. Ma anche per quei pochi e nobilissimi uomini capaci di andare oltre la stizza per tanto successo apparentemente immeritato, capaci di non mollare il puntuale, noioso slogan “la vera musica è”, magari citando vecchi musicisti che della band romana sono estimatori a loro insaputa, così sicuri di sé da lasciarsi andare, e ieri al concerto dei Måneskin erano tanti, di tutte le età e saltellavano perché Damiano sta facendo un favore anche a loro, li sta esonerato gradualmente dal peggio che la società ha imposto all’uomo in millenni, costringendolo a indossare una maschera inchiodata al viso con le spine.
Grazie Måneskin, perché quel paio di generazioni che stanno crescendo con voi saranno migliori della mia.