Vestire con la stylist è un’esperienza che tutti dovremmo fare una volta nella vita
Ho sempre sognato di vestire con la stylist. Ho sempre ammirato e invidiato quelle fortunate con lo sguardo penetrante come una radiografia, gli occhi che sembrano velarsi mentre fissano l’immagine di te in realtà aumentata che si forma nella loro testa, il modo spiccio ma rispettoso in cui maneggiano i vestiti, l’onnipotenza di manipolare i corpi di regine e celebrità senza che nessuno abbia da ridire. Ho conosciuto la stylist Lucia Senesi qualche tempo fa quando gestiva L’Armardio di Lulù, un microscopico atelier nel quartiere Prati di Roma con 28mila follower su Instagram, dove potevi provare e comprare solo ciò che ti stava bene, che detto così sembra il concetto che regola tutti i negozi di abbigliamento, mentre invece lei ti costruisce un look addosso e lo shopping te lo fa diventare una experience. Non ti fa uscire da lì con qualcosa nella busta che non ti doni meno di moltissimo. Ci sono stata una volta sola, per accompagnare un’amica mentre ero di passaggio da Milano, e mi aveva colpito proprio che non insistesse a farmi comprare nulla, a parte un abito ruggine a fiori che mi stava paurosamente bene. Non ho più pensato a lei e qualche mese dopo ho scoperto che si era spostata sulla Flaminia, vicino Corso Francia, in un locale più grande, chic e su appuntamento come quelle boutique di Beverly Hills di cui sbirci il favoloso interno dalle vetrine mentre la commessa ti indica il cartello by appointment only. Si chiama Il Salotto di lulù.
Qui però non siamo in un centro commerciale di Los Angeles ma in un grazioso e curatissimo cortile che, eccezionalmente per Roma, è al centro di una casa di ringhiera, come a Milano. Ci sono tornata con l’amica, Cristina, perché mi era rimasta la curiosità di farmi vestire da capo a piedi. “Avreste dovuto venire qualche giorno fa, è andato tutto a ruba, ora mi dovrò arrangiare con quello che c’è”, dice appena arriviamo, con la modestia della signora di buona famiglia che si vede piombare a cena ospiti inaspettati e ti cucina un menù alla Heinz Beck. Ci offre del te freddo da una cucina linda come una lattuga dopo il temporale. Ci portata a vedere i capi appesi in ordine sparso alle stampelle, ma quando ne passo qualcuno in rassegna e vede il mio sguardo smarrito – fra i colori mi prende una sorta di sindrome di Stendhal – mi dirotta verso i camerini e passandomi un capo per volta dà inizio alla sua magia. Ma chi sei tu?, le ho chiesto. “Sono Lucia, detta Lulù, il mio nome è anche il mio logo, me lo sono fatto anche tatuare perché è un ricordo della mia infanzia. Qualche anno fa dopo aver vestito sempre le amiche, le quali mi dicevano ‘perché non lo fai per mestiere?’, ho messo in pratica il mio intuito naturale nel capire cosa sta bene a chi”. Mi passa un abito lunghissimo a trapezio, verde militare e con le spalline sottili, obietto che sono bassa e tozza e non potrà mai starmi bene. “Provalo e vedrai”. Lo infilo e sembro Angelina Jolie.
“Per 12 anni sono stata la moglie di un uomo molto brillante che mi ha insegnato molte cose e con il quale ho un figlio meraviglioso”, prosegue intanto a raccontare Lucia con una voce che accarezza i nervi, “quando ho iniziato a sentirmi scontenta e poco soddisfatta della mia vita ho voluto rivoluzionarla, e a dicembre ho trovato questo locale. Dicono che non sia il momento migliore per fare un investimento del genere, ma io credo nei sogni anche se mi piace tenere i piedi ben piantati a terra”. Il sogno di Lucia Senesi è in realtà molto concreto e ben organizzato, il fatto che i suoi studi precedenti fossero orientati verso numeri e calcoli le è di aiuto. Si è messa in azione in un momento in cui camminava sul filo come una funambola e ha ritrovato il suo equilibrio proprio con il lavoro, stringendo un sodalizio con, Massimiliano Laurora, un suo amico produttore di capi. Ha iniziato l’attività e sotto il lockdown, invece di lasciarsi schiacciare, ha creato una piccola lista WhatsApp con una decina di amiche nella quale tutti i giorni parlavano di stile, si davano un tema per vestirsi in casa e si fotografavano “per non abbruttirci”. Mentre mi racconta gli effetti dell’iniziativa mi passa un abito da cocktail bianco a doppio petto, obietto che ho i fianchi troppo larghi per quello: “Provalo e vedrai”. Sembro Robin Wright in House of Cards. Intanto la mia amica ha già messo nell’angolo del questo lo prendo un numero indefinibile di indumenti che continua a provare entrando e uscendo dal camerino. “Non ho una laurea in questa materia, lo ammetto, la sto studiando ora, vado spesso in sartoria e cerco di fidarmi del mio gusto. I capi che trovi qui sono solo quelli dei tre brand del mio socio, Memjs, Amnè e Gattinoni, dell’ultimo è licenziatario per tutto il mondo. Con questi tre nomi – tutti realizzati in Italia, nessuna delocalizzazione – raggiungiamo tre tipi di donna diversa (controllo una targhetta di quelli che ha fatto provare a me, sono un po’ dell’uno, un po’ dell’altro). Ogni linea ha la sua stilista, ma quella in cui c’è maggiormente ‘l’impronta Lulù’ è Amne, ad esempio nel pantalone arancio abbinato col top fucsia”.
Mentre mi spiega che le nuove collezioni vengono presentate con un piccolo evento, come nei film degli anni 50 con le signore che arrivano su invito, Lucia mi passa una gonna verde a corolla, con la vita alta goffrata ed elasticizzata. La respingo: “No questa proprio no, con le gonne ampie sembro un fungo”, le dico. Infatti vuole che la metta come un abito, con la vita elastica come corpetto. Sembro Carrie Bradshaw. “Il primo evento per presentare una collezione l’ho dato col passaparola fra amiche, in coincidenza con il mio compleanno. Ognuna ha invitato le proprie amiche, mentre io curo molto il food e beverage perché mi piace mangiare e bere. Piano piano qui presenterò libri, faremo vernissage, e per le collezioni Gattinoni faremo anche gli incontri con gli addetti ai lavori di tutta Italia che sceglieranno i capi direttamente dalle modelle”. Mentre mi dirigo verso uno specchio più ampio, fuori dal camerino, noto una stanzetta e mi affaccio dentro. È un minuscolo salone di parrucchiere con una sola poltrona. “Quella è la zona haistylist”, mi spiega Lucia Senesi, “qui ci viene Vincenzo Panico che ha il suo salone a San Giovanni ma viene a dare consulenze alle visitatrici, cuore a cuore. Ci saranno anche collaborazioni con dei make-up artist”. Con discrezione. dal cellulare, mi mostra le foto delle celebrità a cui ha prestato la sua consulenza – c’è persino Ron Moss di Beautiful – e mi racconta le collaborazioni con i video clip dei musicisti italiani, “anche l’ultimo dei Tiro Mancino”, con gli spot pubblicitari e con le giornaliste dei Tg.
È il momento di salutarci e non riesco a lasciare lì le identità che quei tre vestiti mi avevano regalato. sento di amarli. Lucia Senesi me li piega come se fossero creature vive, li sistema nella busta di carta croccante e strisciamo il Bancomat che fa i capricci, ma poi si arrende. Esco da lì con un forte senso di appagamento che, no, la fast fashion non potrà darti mai.
(Questo articolo è frutto di puro apprezzamento, nessun pagamento o regalia sono state corrisposte dall’intervistata)